La sconfitta nella dodicesima battaglia dell'Isonzo, più nota con l'indicazione della località di Caporetto, che aveva avuto come conseguenza negativa la conquista di tutto il Veneto sino al Piave da parte dell'esercito austro-ungarico, aveva posto in risalto, oltre alle lacune strutturali del Regio Esercito e del Comando Supremo, anche una certa latitanza nelle prerogative del Governo centrale.
Innegabile evidenziare la condotta morale e lo scarso senso patrio del soldato italiano il quale, dopo un entusiasmo iniziale, poi dimostratosi privo di qualsiasi addentellato logico, per una guerra breve e travolgente volta alla riunificazione alla Nazione delle zone rivendicate, si era trovato o convivere in una realtà totalmente diversa.
A riprova basterebbe citare i combattimenti cruenti, lunghi periodi di isolamento in trincea, logistica deficitaria, equipaggiamento non idoneo per affrontare i rigori invernali in montagna, inferiorità di mezzi ed armamenti rispetto alla parte avversa, stanchezza delle truppe e logorio psico-fisico originato anche dal regime di terrore instaurato dal gen.
Cadorna per il quale il dovere del soldato consisteva nel combattere e dare la vita per la patria senza discutere, astio ei confronti di coloro che riuscivano ad evitare le sofferenze del fronte ma anche nei confronti del Paese intero che sembrava vivesse in un profondo distacco rispetto al conflitto.